giovedì 20 dicembre 2012

White fever (White end – ep. finale)

Nelle precedenti puntate:
Episodio pilota
Episodio No. 1
Episodio No. 2
Episodio No. 3




Tic, tac, tic, tac. Sento il ticchettio, ma non vedo nessun orologio, nessuna sveglia: è dentro la mia mente, ma è anche dannatamente reale.

L'auto sfreccia a tutta velocità. Sono al volante, ma non sono alla guida.
Attorno a me c'è una danza frenetica di luci rosse, bianche, gialle.
L'autostrada è incredibilmente satura di vetture che si rincorrono caoticamente, ma senza nessuna collisione.
Un disordine ordinato.
L'aria si fa più calda. Provo ad aprire il finestrino, senza risultato. Il cruscotto è diventato rovente. Tic, tac, tic, tac. Il tempo sta per scadere.
Accanto a me c'è Carlo. È senza testa, ma parla.
Mi chiede: “Cosa ci salva ordinando il caos?”
Tic, tac, tic. “Dove cazzo siamo, Carlo? Da dove cazzo vengono tutte queste auto?”


Mi sveglio. Sono sotto diversi strati di coltri. Coperte rimediate alla bell'e meglio.
Ho la fronte imperlata di sudore. Bollente.
Comincio a ricordare. Le immagini si affastellano confuse: la caccia, il freddo, l'infezione, la febbre.
Mai mangiare la carne di un uomo se non sai com'è morto. Era una regola. E non l'ho rispettata.
Le regole. Le regole ordinano il caos. Le regole ti salvano il culo.
L'istinto e la fame ti fottono.
L'uomo è un essere debole, gracile.
Sopravvive solo perché sa come affrontare situazioni prevedibili. Sopravvive perché impara dagli errori. Sopravvive perché si dà delle regole.

Da quando era iniziata la neve, però, niente era più come prima.
Le regole di un tempo non servivano più. Bisognava ripartire da capo.
E dio sa se ci abbiamo provato. A ricostruire un'organizzazione. A ricostruire rapporti di fiducia.
Perché la fiducia discende dalle regole. Mi fido se posso prevedere che ti comporterai in un certo modo.
Ma come puoi fidarti, se quando incontri un uomo per strada, sai che cercherà di ucciderti?
Da qualche mese abbiamo preso il controllo di un intero quartiere. Ci siamo dati due regole antiche, primordiali.

Garantire la sopravvivenza della specie.

Cercare di salvare la propria vita.

In quest'ordine di priorità. Ogni altra regola era la specificazione di queste due.
Tutti quelli che volevano potevano essere ammessi nel Quartiere, per avere riparo e cibo.
Ma il cibo cominciava a scarseggiare ed i ripari erano sempre più gelidi.
Dentro il Quartiere nessuno poteva portare delle armi e nessuno poteva uccidere altro uomo.
In ognuno dei due casi la pena era essere marchiati e banditi. Le armi dovevano essere lasciate in uno dei depositi all'ingresso al momento dell'ammissione e di lì in poi appartenevano alla comunità. Quando si usciva dal Quartiere, ognuno aveva diritto a portare con sé un arma ed un nastro rosso per essere riconoscibile dagli altri del gruppo.
Il Quartiere si espandeva e controllarlo diventava sempre più difficile.
Fuori, la caccia era consentita. Ma mai contro gli abitanti del Quartiere.
Trovare il cibo era sempre più difficile ed eravamo costretti ad escursioni sempre più prolungate, sempre più lontano dai confini.
Si erano formati anche altri gruppi. Sempre più famelici. Nemici.
Prede.
A volte si arrendevano a noi, ma raramente eravamo compassionevoli.
La fame è nemica della compassione.
Risparmiavamo i bambini, per lo più.
Ad ogni modo se decidevamo di portarli con noi nel Quartiere, da vivi, diventavano parte del nostro gruppo.

Il cannibalismo doveva essere l'ultima risorsa. Ma era diventato sempre più frequente.

Nei primi tempi alcuni di noi preferivano prendere corpi che trovavano già esanimi.
Presto abbiamo capito che non era una buona idea. Molti morivano per infezioni batteriche e mangiare quella carne poteva essere letale.
Certo, sarebbe stato diverso se avessimo avuto il fuoco. Ma erano ormai diversi mesi che non riuscivamo ad accenderne uno.

Le cose stavano per cambiare in meglio, forse. Alcuni abitanti del quartiere erano riusciti ad isolare termicamente alcune stanze di un appartamento con pelli e grasso.
L'idea era quella di provare a coltivare qualcosa. Qualunque cosa.
Proprio per questa ragione, avevamo conservato alcune scorte di semi, risalenti ai giorni dei primi saccheggi. Solo io e pochi altri – i “fondatori” – sapevamo dov'erano nascosti.
Altrimenti qualcuno avrebbe tentato di mangiarli.
Per vedere nascere qualche germoglio bisognava, però, superare il problema dell'assenza di luce. Già di per sé il sole era quasi del tutto oscurato: i nostri “vivai”, così isolati, erano totalmente bui.

Ad un tratto so esattamente cosa devo fare. Sarà il delirio della febbre, ma non mi sono mai sentito così lucido. Sento di nuovo il ticchettio.

Garantire la sopravvivenza della specie. Cercare di salvare la propria vita. In quest'ordine di priorità. Tic, tac, tic, tac.

Forse sono contagioso, non posso restare qui. 
Potrei forse guarire. Ma la mia guarigione sarebbe comunque un danno per la collettività, per la specie. Qualcun altro ha più bisogno delle mie coperte, del cibo che sto consumando. 
Qualcuno che ha più speranze di me di sopravvivere. E di farci sopravvivere.
Mi alzo.
Con i denti mi stacco un lembo di pelle dall'indice sinistro, intirizzito. Devo sfregarlo per far uscire un po' di sangue. Con grafia incerta scrivo sul muro: “L'umanità prima dell'uomo”. Non ho abbastanza sangue per scrivere altro. Capiranno. Tic, tac, tic, tac.

Esco.

Nevica, ovviamente.

Mi spoglio di ogni straccio e mi abbandono sul mio candido e glaciale giaciglio. È soffice.

Il mio non è altruismo, ma egoismo razionale. La volontà di affermare un'ultima scelta.
L'unica scelta ancora possibile.

Ho sempre pensato che chi muore vive eternamente il suo ultimo pensiero. Tic, tac, tic, tac.
E in questo momento so che ce la possiamo fare. Tiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii...

6 commenti:

  1. Le regole ordinano il caos. Le regole ti salvano il culo... ma solo per poterci infilare qualcosa dentro.

    Allora che ne sarà di questo posto?
    Sparirà? Ci mancherà? Ne fonderemo un altro? Faremo finta di non essere mai stati vivi? Faremo finta di non esserci neppure conosciuti?
    Se ne facciamo un altro io lo chiamerei 'il mondo dopo i maya'... oppure 'mayalate'.


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    Risposte
    1. Mayalate senza dubbio. Che poi se lo scrivi Maya late significa "Maya in ritardo", o "Ritardo Maya" :)

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  2. "Cosa ci salva ordinando il caos?"
    La colf, passa dalle due domani.
    Altro che regole...

    Grandissimo Democritico

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